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Guerra tra Borrometi e Commissione Antimafia Ars: il giornalista citato a giudizio

Al centro della vicenda il mistero di un articolo sull'appello contro lo scioglimento del Comune di Scicli. L'avvocato del cronista chiede l'intervento del Csm

Il giornalista Paolo Borrometi

La Procura di Ragusa ha disposto la citazione diretta a giudizio per il giornalista Paolo Borrometi per diffamazione nei confronti di componenti della commissione Antimafia della Regione Siciliana e dell’allora suo presidente Claudio Fava. Il decreto, che salta la valutazione del gip, fissa la prima udienza del processo, davanti al giudice monocratico, per l’8 giugno del 2023.

Al centro del procedimento un post su Facebook del 2020, nel quale Borrometi replicava «all’accusa di non avere pubblicato», sul sito Laspia.it, «l'appello pro Scicli contro lo scioglimento» del Comune del Ragusano, definendo tutto «falso, falsissimo». Il giornalista invitava a cercarlo su Google e, scriveva ancora, «vedrete che vi apparirà la pubblicazione del 15 marzo 2015, da me - ribadisco - pubblicato. lo quel documento l'ho pubblicato». «Ed invece nella relazione» dell’Antimafia Siciliana, aveva aggiunto il giornalista sul social network, «si dice “Borrometi non lo ha pubblicato”». E si era chiesto: «perché nella relazione della Commissione presieduta da Fava si dice questa cosa palesemente non vera?». Per la Procura di Ragusa «la pubblicazione dell’articolo, invero, risultava intervenuta sul sito on line La Spia tra le 17.59 del 26 febbraio 2020, ovvero al termine dell’audizione di Borrometi davanti alla commissione parlamentare, e le 19.47 del 27 febbraio 2020, e non il 15 marzo del 2015».

Nel processo sono ritenute persone offese il presidente della commissione, Claudio Fava, e i componenti dell’Antimafia Siciliana, Rosanna Cannata, Nicola D’Agostino, Gaetano Galvagno, Annunziata Luisa Lanteri, Margherita La Rocca e Giuseppe Zitelli.

Il decreto di citazione a giudizio, secondo Fava, «è un primo, dovuto passo per restituire onorabilità alla nostra Commissione, al lavoro svolto e allo scrupolo con cui abbiamo sempre operato».

Secondo l’avvocato Fabio Repici, legale di Borrometi, «non esistevano i presupposti per la celebrazione di un dibattimento a carico di Paolo Borrometi per quella scombiccherata ipotesi di reato». L’avvocato aggiunge che sottoporrà i fatti al Csm, «perché si valuti se l’emissione del decreto di citazione a giudizio, davanti alle risultanze del fascicolo, possa rientrare nel campo delle valutazioni discrezionali che un pm compie al termine delle indagini preliminari o se invece ci siano elementi per ritenere inadeguata l’azione del dr. D’Anna come capo di un ufficio requirente e della dr.ssa Monego come pubblico ministero».

Il legale parla di «ignominiosa campagna di discredito di un giornalista integerrimo, vittima di un eclatante caso di character assassination che dura da qualche anno con virulenza senza pari».

«L'avvocato Alessandro Vitale e io - aggiunge il penalista - affronteremo serenamente il processo, laddove il Tribunale di Ragusa prenderà atto non dell’assenza di prove a carico di Borrometi, ma della sussistenza di prove che dimostrano l'assoluta falsità dei fatti contestati. Magari sarà l’occasione per identificare i responsabili della criminosa attività di hackeraggio ai suoi danni».

«Dopo le querele e durante le indagini preliminari - sottolinea l'avvocato Repici - avevamo dimostrato documentalmente alla Procura che in periodo di poco precedente all’audizione di Paolo Borrometi davanti alla Commissione la testata online da lui diretta era stata bersaglio di una gravissima operazione di hackeraggio. Questa non è la tesi dei difensori di Paolo Borrometi, ma la conclusione raggiunta dalla Procura di Roma. La pubblicazione contestata a Borrometi dalla Commissione antimafia regionale come mai pubblicata era, invece, stata effettivamente pubblicata il 15 marzo 2015 e quell'articolo dopo l’intrusione degli hacker era stato rimosso dagli articoli visibili e relegato nel cestino del sito («trash»), dove è stato recuperato dall’unico consulente tecnico che da aprile 2020 ha ufficialmente potuto accedere e ispezionare dall’interno il sistema informatico utilizzato da Borrometi. È stata raccolta la deposizione - scrive ancora il legale - di un testimone che aveva effettivamente letto nel 2015 sul sito di Borrometi l'articolo che nel 2020 secondo la Commissione antimafia regionale non era mai stato pubblicato». Il penalista ricorda che «dal 15 marzo 2015 a febbraio 2020 nessuno si era accorto né si era mai lamentato di quella presunta mancata pubblicazione», perché «era comparsa il 15 marzo 2015».

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