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Bufalino e il rapporto con la sua terra: il ricordo dello scrittore a 102 anni dalla nascita

Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino alla noce (foto di Nino Catalano)

Discreto fino al nascondimento, Gesualdo Bufalino emerse suo malgrado. Nato a Comiso il 15 novembre 1920, il professore di lettere di Comiso, provincia di Ragusa, divenne scrittore dopo i sessant'anni, richiamato alla fama nell’età della pensione da un’intuizione di Elvira Sellerio. La signora dell’editoria siciliana, scovato un suo testo inviato a corredo di una raccolta di lastre fotografiche ottocentesche dal fotografo Giuseppe Leone (Comiso ieri, poi ripubblicato come Il tempo in posa, sempre per Sellerio), s'intestò la sfida di tirar fuori dai cassetti del docente liceale il romanzo che questi doveva senz'altro tenere nascosto.

Il romanzo nel cassetto c'era, ed era Diceria dell’untore: memoriale d’un moribondo che porta la pena di sopravvivere, prima a una guerra mondiale e poi a una malattia fatale che non si risolve a confermarsi tale, nel sanatorio della Rocca dove le storie dei morenti svelano la colpa d’esser sopravvissuti. Il memoriale in forma di romanzo scritto da Bufalino sulla scorta della sua personale esperienza, vissuta da soldato riformato sul finire del '46 nel sanatorio della Conca d’Oro, dopo una limatura ventennale fu dato alle stampe nel 1981, e subito vinse il Premio Campiello.

Travolto da fama inattesa, il professore iniziò tardivamente una produttiva carriera letteraria, che conta una dozzina di titoli principali - tra narrativa e aforismi - pubblicati da Sellerio e poi da Bompiani, editore con il quale vinse il Premio Strega nel 1988 con il lirico Le menzogne della notte. Alla produzione editoriale si aggiunge un notevole corpus di collaborazioni intraprese con testate nazionali e locali, oltre a racconti, testi teatrali (recente la messa in scena di Io, Franca Florio, a cura della Fondazione Bufalino di Comiso), poetici, giornalistici e critici. La maggior parte degli scritti sono confluiti per Bompiani in una raccolta in due volumi. Forte d’uno stile ricercato e coltissimo, la scrittura di Bufalino si caratterizza per una raffinatezza elevatissima ancorché mai ridondante, densa di senso e fulminante nell’immediatezza di un cesello barocco eppure - incredibilmente - lineare.

In questo, l’autore è complementare e opposto alla cifra di Leonardo Sciascia, che secondo le cronache partecipò alla «scoperta» dell’autore in casa Sellerio e che ne divenne poi amico, in un ideale rimando stilistico: fermo e asciutto l’agrigentino, musicale e ricco di stilemi particolari il comisano. Erudito fin quasi all’ossessione, il professore, figlio di un fabbro, costruì letteralmente da solo la propria conoscenza.

Coltivò il sogno di realizzare una biblioteca universale, curando da solo la traduzione dei testi che avrebbe voluto leggere in lingua originale ma che in provincia trovava solo in italiano: ci sono anche le sue «retroversioni» dall’italiano al francese tra i documenti conservati presso la Fondazione che la città di Comiso ha dedicato al suo illustre figlio, sulla scorta dei quasi diecimila volumi - segnati da appunti e cancellature - che la moglie dello scrittore, l’ex allieva dell’Istituto magistrale Giovanna Leggio, ha raccolto nella Fondazione Bufalino insieme ai moltissimi dischi che il marito collezionava e ai ritratti firmati dal fotografo Leone.

Mai allontanatosi dal paese natio se non per il servizio militare, Bufalino riversò nella sua opera quasi sempre il proprio vissuto personale: oltre alla già citata Diceria è certamente personale anche l’esperienza narrata in Argo il cieco, storia di un docente che recupera da trentenne la giovinezza perduta negli anni della guerra in una Modica (RG) così descritta: «Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell'estate. E forse fu grazia del luogo dove abitavo, un paese in figura di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo; metà ristretto su uno sprone di roccia, metà sparpagliato ai suoi piedi».

La Sicilia mai abbandonata e i suoi controversi misteri tornano protagonisti in quasi tutto il corpus bufaliniano: dai «pupi» del Guerrin Meschino alle sicilianerie scomparse di Museo d’ombre. E’ la Sicilia, ossimoro a tre punte, che ne La luce e il lutto forgia così il carattere stesso degli isolani (un topos letterario, quello che in Sciascia prendeva il nome di sicilitudine, che in un modo o nell’altro torna in tutti gli autori siciliani): «Questo luttuoso lusso d’essere siciliani:, l’isola tutta è una mischia di lutto e luce». La Sicilia-continente, isola plurale, celebrata nell’antologia Cento Sicilie: «Le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava». La Sicilia, infine, che al più endemico dei suoi mali non ha che un’arma da contrapporre: la conoscenza. Celebre e vero è infatti l’aforisma bufaliniano, secondo il quale «la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari».

Tommaso e il fotografo cieco, involontario testamento dell’autore, uscì per Bompiani nel 1996, anno dell’incidente che costò la vita a Bufalino, a soli quindici anni dal suo esordio. La memoria dello scrittore di cui oggi ricorre il centoduesimo anniversario rimane invece viva: la città di Comiso ha infatti intitolato a Gesualdo Bufalino un Parco Letterario, inaugurato il 13 novembre scorso dal sindaco Maria Rita Schembari. Si tratta del terzo parco letterario in Sicilia, afferente alla più ampia rete che in Italia conta oltre trenta realtà simili.

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