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Femminicidio a Ragusa, il pm chiede l'ergastolo per l'ex marito Panascia

La polizia scientifica sul luogo del delitto di Maria Zarba, Ragusa

«Ergastolo». E’ questa la pena richiesta dal pubblico ministero, Francesco Riccio, al termine della requisitoria nel processo che si celebra davanti alla Corte di Assise di Siracusa, a carico di Giuseppe Panascia, unico imputato per l’uccisione della ex moglie Maria Zarba 66 anni avvenuta l’11 ottobre del 2018 a Ragusa. Era stato il nipote che viveva con la nonna a trovare la donna riversa a terra, percossa fino a morirne, con un corpo contundente: una violenza che non le aveva lasciato scampo nonostante i segni di difesa che erano emersi dall’autopsia. Era salito in cima alle scale per scendere dopo qualche secondo chiedendo disperatamente aiuto in una piccola strada a senso unico del centro storico di Ragusa, via Odierna.

E’ stato un processo indiziario, in cui non è stata rinvenuta l’arma del delitto ma con prove che condurrebbero tutte a Panascia; nel corso della requisitoria il Pm ha ricordato la qualità dei profili genetici rinvenuti, le tracce ematiche nei vestiti e nelle maglie dell’orologio dell’uomo da cui è stato estratto il Dna, riconducibile alla vittima, oltre al movente, con le liti continue tra i due ex coniugi che nonostante la separazione comunque continuavano a vedersi. Le indagini nell’immediatezza dei fatti si erano indirizzate subito verso l’uomo. Secondo quanto ricostruito dall’accusa, l’uomo, pensionato, non si rassegnava alla separazione. Anche la parte civile attraverso l’avvocato Fabrizio Cavallo che rappresenta i figli e i nipoti, ha chiesto il massimo della pena ponendo anche lui l’accento sulle inquivocabili tracce di dna completo della vittima addosso al Panascia. Tracce complete, non parziali nè miste, ripercorrendo la storia processuale e le discrepanze emerse dalla versione data dall’uomo alle evidenza dibattimentali. Cavallo ha ricordato anche il testo un messaggio che la donna avrebbe mandato ad una delle figlie la sera prima del delitto, «papà oggi ha gli occhi di un diavolo!» e in conclusione ha chiesto un risarcimento da un milione di euro.

Giuseppe Panascia, che nella scorsa udienza si era avvalso della facoltà di non rispondere perchè avrebbe voluto essere interrogato per ultimo ma ancora c'era un teste da sentire, ha reso oggi spontanee dichiarazioni, nel corso delle quali si è dichiarato innocente, si è lamentato dell’impossibilità di un confronto con figli e nipoti ed ha affermato con decisione che i rapporti con la moglie non erano così conflittuali come riferito dai congiunti. In conclusione ha consegnato una lettera alla corte, la copia di un manoscritto della moglie rivolto ad una figlia. Il 21 luglio sarà la volta dell’arringa della difesa rappresentata dagli avvocati Enrico Platania e Irene Russo. Nel corso del dibattimento i legali avevano più volte espresso dubbi e posto accento sulla qualità del materiale genetico estratto e sul fatto che l’abitazione in realtà avesse due accessi, il secondo dei quali non controllato da alcuna telecamera, dal quale chiunque avrebbe potuto entrare inosservato. (AGI)

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