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Mafia, Borrometi: "Sono i colleghi omertosi che mi condannano a morte"

Il giornalista Paolo Borrometi

RAGUSA. Un appello a tutti i colleghi, a partire dai direttori delle testate, per tornare a parlare di mafia, illuminare il lavoro dei cronisti minacciati dalla criminalità, metterli in condizione di fare il loro mestiere in sicurezza. A lanciarlo sono gli enti di categoria e le associazioni dei giornalisti, riuniti nella sede della Fnsi, all’indomani delle notizie sulle minacce nei confronti di Paolo Borrometi, direttore del quotidiano online La Spia, collaboratore dell’Agi e presidente di Art.21, finito nel mirino boss Salvatore Giuliano che, forte del legame con il clan catanese dei Cappello, pianificava il suo omicidio.

Ma è anche lo stesso Borrometi a rivolgersi ai colleghi. «Lo stato ha vinto perché è riuscito a anticipare le mosse della mafia - ha detto -. Questo lo voglio dire con forza, anche perché l’attenzione delle forze dell’ordine nei miei confronti è costante». «Nessuno vuole fare l’eroe - ha aggiunto Borrometi -. Siamo solo giornalisti che vogliono continuare a raccontare quello che accade. Ci sono però problemi, perché c'è un capomafia in libertà che ha fatto interviste dicendo che la mafia non esiste. Se uno dei principali giornali online parla di presunto boss, riferendosi a una persona che è stata già condannata, qualcosa non va. Voglio fare un appello ai tutti i colleghi, anche quelli che hanno responsabilità sindacali: se continuano a dire che la mafia non esiste, sono loro che mi stanno condannando a morte».

Nella conferenza stampa è stato diffuso il testo di un appello a tutti i direttori non solo per tornare a parlare di mafia, ma anche per «richiamare l’attenzione delle istituzioni e degli editori sulle vite precarie di molti dei cronisti che ogni giorno fanno il loro dovere senza alcuna forma di tutela contrattuale». «E' un clima irresponsabile quello creato da chi difende i giornalisti amici e manganella i nemici - ha sottolineato il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti -. Dobbiamo formare una sorta di consorzio per la legalità e sensibilizzare le istituzioni su queste battaglie che non riguardano solo i giornalisti, ma la difesa della Costituzione e la tenuta della democrazia. Prima che sia troppo tardi».

«La mafia vuole compiere un salto di qualità, perché si vuole il morto - ha aggiunto il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso -. Tutto questo è frutto di una situazione generale in cui di mafia si parla sempre meno. Bisogna riprendere il giornalismo di inchiesta sugli affari delle mafie. Occorre anche andare oltre la scorta mediatica e per questo abbiamo preso a costituirci parte civile ovunque. C'è anche un altro problema: Borrometi è un giornalista precario e spesso si chiede di fare inchieste a giornalisti precari. Chiedo al cdr e alla direzione dell’Agi di attivarsi perché la posizione di Borrometi sia regolarizzata». Lorusso si è rivolto anche alla politica: «Non basta la solidarietà - ha avvertito -. Tra coloro che la hanno espressa a Borrometi ci sono anche parlamentari che hanno fatto di tutto per far saltare i provvedimenti contro le querele bavaglio e la precarietà nel lavoro. E’ il momento di passare dalle parole ai fatti».
All’incontro anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, che ha annunciato la volontà di "mettere le tematiche della solidarietà ai giornalisti minacciati anche al centro dei corsi di formazione». Dal segretario Usigrai Vittorio Di Trapani anche un appello al servizio pubblico: «Come Rai dovremmo avere una responsabilità in più su questi temi, affinché le telecamere non siano mai spente su temi come quelli della mafia».

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