RAGUSA. Un sequestro di beni immobili e denaro per un valore di oltre un milione di euro, quattro persone e tre società indagate per irregolarità nella gestione di 'rottami ferrosi' nel porto di Gaeta e per reati ambientali. Ieri, su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cassino, la Guardia Costiera ha dato esecuzione a ordinanze di misure cautelari, perquisizione e di sequestro presso abitazioni, sedi di società e pubblici uffici. I provvedimenti sono stati eseguiti, oltre che dalla Guardia Costiera di Gaeta, da quella di Civitavecchia e Pozzallo (Ragusa). Eseguita inoltre nei confronti del Dirigente del pubblico Ente gestore la misura dell'interdizione dai pubblici uffici.
Le indagini, avviate nel novembre 2013 a seguito di irregolarità nella movimentazione, gestione e stoccaggio nel porto di Gaeta di «rottami ferrosi» provenienti dal basso Lazio e dalla Campania, sono state svolte anche a seguito di una serie di esposti di privati cittadini e di associazioni di settore che denunciavano diverse irregolarità nella gestione del pubblico demanio marittimo portuale di Gaeta. Venivano così sequestrate circa 4.500 tonnellate di materiale depositato presso la banchina «Cicconardi» del porto di Gaeta.
Proprio la vicinanza del prodotto contaminato alle acque del Golfo, comportava il 'rotolamento' a mare della sostanza e dei relativi ossidi di dilavamento, come accertato dal Nucleo Subacquei della Guardia Costiera di San Benedetto del Tronto, intervenuto per i necessari accertamenti tecnico-subacquei di carattere ambientale. Tali elementi confermavano le ipotesi di reato di «gestione non autorizzata di rifiuti», «falso ideologico», «traffico illecito di rifiuti», «violazione dell'autorizzazione allo scarico acque di prima pioggia», «danneggiamento», «getto pericoloso di cose» e «deturpamento di bellezze naturali» a carico dei gestori delle aree e dei materiali.
Oltre all'accertamento dei reati di carattere «ambientale», venivano avviate indagini per appurare le modalità di assegnazione delle aree portuali, classificate pubblico demanio marittimo, impiegate per lo stoccaggio dei materiali ed occupate per mesi in via esclusiva da parte di privati imprenditori. Si accertava quindi che, in violazione di legge e regolamenti, l'Ente pubblico gestore aveva applicato tariffe per l'occupazione del pubblico demanio marittimo portuale dieci volte inferiori a quelle previste provocando un mancato introito alle casse dello Stato di circa un milione di euro.
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