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Loris, l’omelia del vescovo: le morti non sono tutte uguali

Ecco l’omelia del vescovo di Ragusa Paolo Urso che celebra i funerali del piccolo Loris, il bimbo di otto anni ucciso il 29 novembre scorso

Sorelle e fratelli carissimi,

ci siamo dati appuntamento in chiesa, questo pomeriggio, per celebrare insieme l’Eucaristia. Vogliamo chiedere al Signore di accogliere tra le sue braccia il piccolo Loris, vogliamo esprimere la nostra affettuosa vicinanza ai familiari affranti dal dolore, vogliamo ascoltare da Dio parole di conforto e di speranza, e testimoniare la nostra fede nella risurrezione. L’Eucaristia rende presente Gesù che muore e risorge perché noi abbiamo la vita per sempre.

Dalla sera di sabato 29 novembre sgomento e speranza hanno abitato il nostro cuore. La notizia della morte del piccolo Loris mi raggiunse a Toledo, dove mi trovavo con un numeroso gruppo di vittoriesi per partecipare all’ordinazione presbiterale di un giovane, nato a Vittoria, che andrà a svolgere il ministero a Cuzco, in Perù. La notizia mi fu data da due Sms di un amico, laconici e freddi, come fredda è la morte: Bambino scomparso a Santa Croce… Bambino ucciso.

Una notizia tremenda. Un fatto assurdo. Un gesto disumano. Veramente l’uomo «ha la spaventosa possibilità di essere disumano, di rimanere persona vendendo e perdendo al tempo stesso la propria umanità» (Benedetto XVI, 13.3.2008).

Le morti non sono tutte uguali. C’è chi muore dopo un lungo percorso di vita e chiude così serenamente il proprio cammino perché è arrivato al capolinea. C’è chi muore, bambino giovane o adulto, perché aggredito da una prepotente e impietosa malattia… Ma un bambino no. Un bambino non può morire perché un altro essere umano si è arrogato il diritto inesistente di togliergli la vita. Come si può uccidere un bambino? Solo un folle, un pericoloso folle, può compiere un tale gesto. Un folle che deve essere fermato.

Quando ciò avviene, la nostra umanità si ribella e le domande insorgono e si inseguono. Non solo quelle rivolte agli uomini, ma anche quelle rivolte a Dio. Perché? Perché Dio non è intervenuto? Perché non ha bloccato la mano omicida? Se Dio è Padre, come può permettere che un bambino, innocente e indifeso, sia ucciso e buttato in un canalone?

Noi cristiani non possiamo dire parole di circostanza, parole vuote, falsamente consolatorie. Noi cristiani ci ricordiamo delle risposte di Giobbe ai falsi amici che «sputavano sentenze», ponendosi su un piedistallo di superiorità: «Quel che sapete voi, lo so anch’io; non sono da meno di voi. Ma io all’Onniptente voglio parlare, con Dio desidero contendere. Voi imbrattate di menzogne, siete tutti medici da nulla. Magari taceste del tutto: sarebbe per voi un atto di sapienza… Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria?… Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi » (Giobbe 13,2-5; 16,2-4).

Il Signore, che mi ha costituito pastore in questa Chiesa, vuole che io vi dica solo le parole della fede, le uniche che possono consolare il cuore, pur nella consapevolezza che la morte, e la morte di un bambino per violenza, rimane sempre avvolta da un’ombra di mistero.

Non sono in grado di rispondere in maniera compiuta alle tante domande che la tragedia, che qui ci vede riuniti, suscita in noi. Posso dirvi, però, che Dio non è insensibile di fronte alla morte e alla sofferenza che essa provoca. Dio è accanto a chi muore e a chi soffre. Un giorno cadrà il velo che copre i nostri occhi e capiremo. Alla bambina giapponese di sette anni, che aveva chiesto a papa Benedetto di spiegarle perché molti suoi coetanei erano morti nel terremoto che aveva colpito il suo Paese e perché i bambini devono avere tanta tristezza, il Papa rispose: «Cara Elena… anche a me vengono le stesse domande… E non abbiamo le risposte». E poi aggiunse: «ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi… Dio sta dalla vostra parte… un giorno potremo anche capire perché era così» (22.4.2011).

È vero che noi non possiamo scrutare il segreto di Dio perché vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio (cfr. Benedetto XVI, Discorso ad Auschwitz-Birkenau, 25.5.2006). Possiamo però gridare davanti a Dio, mentre attendiamo con fiducia la salvezza.

La Parola del Signore ci aiuta a vivere questo momento di grande sofferenza e ci offre due certezze: Dio ci ama, la nostra vita è nelle sue mani; il nostro futuro non è la morte, ma la vita.

 

1.     Dio ci ama, la nostra vita è nelle sue mani

Dio non vuole la morte perché è il Dio della vita! Egli ci ama e niente potrà mai separarci dal suo amore. «Io sono infatti persuaso, scrive san Paolo, che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).

La Parola del Signore ci conferma che «le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà… essi sono nella pace… la loro speranza resta piena di immortalità» (Sap 3,1-4). Non solo dopo la morte, ma anche prima noi siamo nelle mani di Dio, quelle mani che trasmettono fiducia e sicurezza perché sono forti! Siamo nel cuore di Dio, caldo ed accogliente, capace di perdono. Quel cuore che fa dire a Dio: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare… Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?… Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,1-8).

Per esprimere l’infinità dell’amore di Dio per tutti noi, c’è un’espressione nella Bibbia ancora più toccante e incisiva: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Quel «mai» (io non ti dimenticherò mai) è di una forza travolgente. Questo spiega perchè don Orione abbia potuto dire a Ignazio Silone: «Nell’avvenire non ti mancheranno momenti di disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo» (Uscita di sicurezza).

L’amore sconfinato di Dio per l’uomo esige che, da parte nostra, ci sia un analogo impegno di amore per tutti. Nessuno deve essere abbandonato e lasciato solo!

La prova, che Dio ama ed ama senza limiti e senza condizioni, ci è offerta dal fatto che Gesù ha accettato di essere ucciso per tutti. Il vangelo secondo Luca ci racconta che, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, quando dovrebbe esserci la pienezza della luce, si fa invece buio su tutta la terra e il sole si eclissa. Perché Gesù muore. È il buio del tradimento, del rinnegamento, della solitudine, della morte. È sempre così, quando un uomo viene ucciso. Si fa buio su tutta la terra!

2.     Il nostro futuro non è la morte, ma la vita

Noi non siamo nati per morire. Siamo nati per vivere e vivere per sempre.

Marta piange il fratello morto e manifesta a Gesù il suo rammarico perché non è venuto prima: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Ma Gesù così le risponde: «Tuo fratello risorgerà… Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,21-26).

Nella proclamazione del vangelo secondo Luca abbiamo sentito che il primo giorno della settimana, al mattino presto, portando con sé gli aromi che avevano preparato, le donne vanno al sepolcro dove pensano di trovare il corpo di Gesù. Ma non lo trovano. Discutono tra loro per cercare di capire il senso dell’accaduto, quando vengono impaurite dalla presenza di due uomini in abito sfolgorante. Mentre le donne tengono il volto chinato per terra, i due uomini chiedono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24,1-6).

L’amore non permette alla persona amata di morire. «Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai!», sostiene Gabriel Marcel. Tu continuerai a vivere nel ricordo, nell’affetto e non solo. Tu vivrai di una vita nuova e speciale perché la vita non ci è tolta ma trasformata, perché Dio ci ama e l’amore sfonda la barriera del tempo! Ci rattrista, è vero, l’esperienza della morte ma ci consola la promessa dell’immortalità futura. Così, infatti, ci fa pregare la liturgia: «mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo».

Davanti al corpo senza vita di Loris, noi proclamiamo la nostra fede e la nostra speranza. La nostra fede nel Dio che ci ama, la nostra speranza nella vita senza fine.

Se non sono stato capace di dire parole veramente consolanti, sia lo stesso Signore a deporre nel cuore dei familiari del piccolo Loris e di tutti voi quelle parole che leniscono il dolore, asciugano le lacrime, rasserenano la vita.

 

 

 

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