COMISO. Sono finiti in carcere altri due membri della famiglia di pastori accusati del tentato omicidio avvenuto a Comiso 10 giorni fa nei confronti di un imprenditore. In carcere sono finiti Gaetano e Angelo Calabrese, entrambi nati a Gela, catturati dalla polizia. La misura di custodia cautelare è stata emessa dal gip del Tribunale di Ragusa su richiesta della Procura della Repubblica iblea.
Si tratta del padre e del figlio più piccolo della famiglia che raggiungono in carcere i fermati che squadra mobile ed commissariato di Comiso avevano individuato poco dopo l'agguato: i fratelli Francesco e Orazio Calabrese, individuati da squadra mobile e commissariato di Comiso.
Secondo le indagini, gli accusati volevano uccidere il collega dopo che la vittima si era rivolta a loro perché pensava avessero tentato un furto nella sua azienda. Nell'agguato il proprietario dell’azienda si era salvato per puro caso: il sedile dell’auto aveva deviato il proiettile.
Venerdì 9 giugno alle 23,30 circa, un imprenditore comisano si è accorto che all’interno del suo oleificio in contrada Rinazzi, al confine con Comiso e Vittoria, era stato divelto un infisso. L'imprenditore si è recato nell'abitazione vicina dove vivono i quattro componenti della famiglia Calabrese chiedendo spiegazioni sull'accaduto ma è stato aggredito. Poche ore dopo l'uomo sarebbe stato bloccato dai Calabrese che hanno preso a sprangate la sua auto e uno di loro - pare Francesco - ha sparato dei colpi di arma da fuoco. Uno dei colpi veniva sparato alle spalle, si è conficcato nel sedile dell’auto all’altezza del torace senza però ferire il conducente, salvo per pochi centimetri in quanto il colpo è stato deviato, con molta probabilità, da una delle molle dello schienale. L'uomo è poi riuscito a fuggire e a chiamare il 113. Da lì le indagini che hanno individuato i quattro presunti colpevoli, già noti alla polizia.
Dall'intercettazioni è emersa l'estrema pericolosità della famiglia Calabrese, pronta a tutto, addirittura a portare a termine l’omicidio una volta rimessi in libertà, scrivono gli investigatori.
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