Detto così, di primo acchito, può suonare come stereotipo del meridionale: i dipendenti del settore privato, in Sicilia e più in generale nel Sud Italia, lavorano meno dei colleghi settentrionali, con una differenza di circa due mesi l’anno, tanto che, alla luce del gap, i primi percepiscono una retribuzione più bassa del 34% rispetto ai secondi. È il risultato del report pubblicato ieri dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che nel primo capitolo, a scanso di equivoci, apre e chiude subito una domanda: il divario registrato indica che «nel Nord gli impiegati e gli operai sono degli stacanovisti e nel Mezzogiorno degli scansafatiche? Assolutamente no. Anche nel Mezzogiorno si lavora molto e, probabilmente, anche di più che in altre aree del Paese», solo che, «purtroppo, lo si fa in nero, e le ore lavorate irregolarmente non possono essere incluse nelle statistiche ufficiali»: un colpo di spugna che riguarda molto da vicino il territorio siciliano, superato nella classifica dell’occupazione invisibile solo da Campania e Calabria, con circa 260 mila lavoratori irregolari e un’incidenza di sommerso del 17%. Altresì, la concorrenza sleale praticata dalle realtà sconosciute al fisco e all’Inps mantengono, nei settori in cui operano, molto basse le retribuzioni previste dai contratti nazionali di lavoro. Difatti, se queste ultime salissero anche di poco, ragiona la Cgia, «molte imprese regolari subirebbero un incremento dei costi che, probabilmente, le farebbe scivolare fuori mercato». Per quanto riguarda l’Isola, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo, i dati sono sovrapponibili a quelli rilevati in tutto il Sud: se nel 2021 il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato di 247, la Sicilia si è attestata a quota a 211, una disuguaglianza che corrisponde, per l’appunto a due mesi lavorativi in meno, e mentre la retribuzione media giornaliera lorda, nel Nord, si è aggirata intorno ai 100 euro, nell’Isola si è fermata a 75 (-34%). Più nel dettaglio, se Milano è la provincia dove i dipendenti guadagnano di più (124 euro), Ragusa è quella con i salari più bassi d’Italia, vicini ai 66 euro al giorno e non molto distanti da quelli rilevati negli altri territori siciliani: Trapani si piazza al quartultimo posto con 67 euro, Agrigento al sestultimo con 68, mentre Enna (70), Messina (71), Caltanissetta (73), Catania (74) e Palermo (75) rientrano tutte negli ultimi 30 posti. E non va molto meglio a Siracusa, la provincia, si fa per dire, con la paga più “ricca” dell’Isola, pari a 79 euro. Trapani e Messina, inoltre, raggiungono livelli tra i più bassi dello Stivale per ore di impiego: rispettivamente, 195 e 193. Ma perché in Sicilia e nel resto del Sud si lavora meno? Oltre alla diffusione del sommerso, «c’è poca industria e una limitata concentrazione di attività bancarie e finanziarie», con un «mercato del lavoro caratterizzato da tanti precari. La combinazione di questi elementi fa sì che gli stipendi siano statisticamente più bassi della media nazionale». Infine, anche la produttività, data dal rapporto del valore aggiunto per ore lavorate, è un buon indicatore per ragionare sul livello salariale, perché, «a produttività elevate corrispondono salari elevati e viceversa». Così, se nel settentrione il valore aggiunto si attesta sui 40 euro circa, in Sicilia non si va oltre le 30.