Due visioni a confronto, su due prospetti diversi, per arrivare ad un’opera unitaria, sintesi di un riflesso, di una città sospesa e profondamente stratificata fra cultura, arte e contrasti. È fra pieno e vuoto, tra superfici di specchi distorti, opposti e dialoganti, che ha preso forma il lavoro di Case Ma’Claim (Germania) e Marat Morik (Russia), due degli esponenti più rappresentativi del muralismo contemporaneo tornati nella provincia ragusana per scolpire il tempo sullo spazio urbano, nei muri delle case popolari di Comiso che insistono sulla trafficatissima rotonda di corso Ho Chi Minh, fulcro, per un’intera settimana, di CAP, “Comiso Arte Pubblica”, evento fortemente voluto dal Comune casmeneo e, in occasione di suoi 40 di vita, dall’Avis cittadina, il cui prezioso contributo, in linea con la filosofia e la pratica del dono connaturate all’Associazione, ha reso possibile il progetto. Un lavoro nato nel solco tracciato da FestiWall e da Bitume, il Festival internazionale di arte pubblica che ha analizzato lo sviluppo urbanistico di Ragusa e il progetto site-specific ad esso collegato, che nel 2020 ha ridato vita all’ex fabbrica di bitume Ancione. Questa volta, per CAP, attraverso linguaggi e tecniche differenti Ma’Claim e Morik, per la prima volta in dialogo nello stesso cantiere artistico, hanno provato a cristallizzare il passato e il presente del paese ibleo, viaggiando nel cuore del territorio, parlando con gli abitanti, seguendo tracce di identità fra vicoli, piazze, chiese e periferie fino a visitare l’aeroporto e l’ex base Nato di Comiso, alla ricerca di una trama, di storie e tasselli di Storia per una nuova narrazione. Fonte di ispirazione principale, lungo il percorso esplorativo, i comisani immortalati a fine Ottocento nell’attività foto-amatoriale (pionieristica per la Sicilia) di Gioacchino Iacono, Carmelo Arezzo, Corrado Melfi e Francesco Meli: immagini ritrovate casualmente in una soffitta di campagna, poi pubblicate ne “Il tempo in posa”, volume che segnò la discesa tardiva di Gesualdo Bufalino sul fronte letterario, e adesso ricomposte sulla materia urbana, assorbite sui palazzi, visibili nella contemporaneità di due opere pensate come corpo unico. Unica, infatti, oltre alla matrice (Comiso) è anche la prospettiva, che fra i due murales viene capovolta in un gioco di contrasti: da una parte, sul lavoro di Case Ma’Claim, una sola figura, un soggetto solitario, il bambino in bicicletta fotografato da Iacono; dall’altra, sul prospetto di Marat Morik, una sovrapposizione di volti, corpi, oggetti e simboli, tra i quali la ruota dello stesso triciclo e il canestro da basket ripreso dalla palestra dell’ex base militare di Unnamed Road. Case Ma’Claim e Marat Morik hanno terminato gli ultimi dettagli del cantiere dopo la presentazione dell’evento (l’11 novembre) alla cittadinanza insieme agli altri protagonisti: gli studenti del Liceo artistico Carducci di Comiso, parte attiva del processo di creazione con un filo diretto intrecciato con gli autori e un’attività di documentazione guidata da Vincenzo Cascone, impegnato proprio in questi giorni in un ciclo di lezioni sul muralismo rivolto agli stessi studenti e inerente a “Comiso Arte Pubblica”. Accanto a loro, la presidente dell’Avis cittadina, Raffaella Vacante, che ha ricordato l’input dell’operazione: «un dono dell’Associazione, di tutti i donatori, alla città. Ci piace evidenziare, attraverso l’immagine del bambino in bici, Carmelo Cabibbo (1896), la bellezza della vita, l’immortalità del genere umano attraverso lo sguardo di un bimbo. La speranza di un futuro migliore». Presente anche il sindaco di Comiso, Maria Rita Schembari, che sullo sfondo delle opere vede «il completamento del progetto complessivo della rotatoria di corso Ho Chi Minh. L’intento di razionalizzare il traffico, garantendo sicurezza a mezzi e pedoni, giunge a conclusione con una riqualificazione delle pareti prospicienti di due palazzi di edilizia popolare, tavolozze a cielo aperto di due artisti di fama internazionale». Mentre per Maria Giovanna Lauretta, dirigente scolastico del Carducci, CAP è stata «un’esperienza di ampio respiro che ha allungato lo sguardo dei nostri studenti sul mondo, all’acquisizione di nuove tecniche pittoriche, ma soprattutto di un nuovo modo di fare arte per raccontare la propria città all’amico, al vicino di casa, al forestiero, e per esprimere le proprie emozioni e la propria visione della vita. Auspichiamo un seguito, anche perché la formula collaborativa tra diverse istituzioni risulta vincente»