La Direzione investigativa antimafia di Catania, ha eseguito un provvedimento di confisca dei beni per 3 milioni di euro nei confronti di un imprenditore del settore del commercio di materie plastiche e nella raccolta di rifiuti non pericolosi nella provincia di Ragusa. L’imprenditore è stato già condannato per traffico di stupefacenti e coinvolto in diverse inchieste della procura della Repubblica di Caltanissetta riguardo a un’organizzazione di stampo mafioso finalizzata alla commissione di estorsioni nei confronti di imprenditori agricoli, ai quali venivano imposti la raccolta delle plastiche esauste provenienti dalle serre e il servizio di guardiania. Nell’ottobre 2019 è stato tratto in arresto su ordine della procura della Repubblica di Catania, poiché, avvalendosi della capacità di intimidazione del clan mafioso di appartenenza, è riuscito a monopolizzare la raccolta delle plastiche dismesse dalle serre insistenti in provincia di Ragusa, imponendone ai serricoltori il conferimento in via esclusiva ad una sola impresa.
L’imprenditore ha strutturato le proprie attività economiche avvalendosi dell’appoggio di esponenti di prim’ordine del clan Carbonaro-Dominante, egemone nell’hinterland ibleo, inserito nell’organizzazione mafiosa denominata «Stidda», attiva in quei territori sin dagli anni Ottanta. È stato accertato da diverse attività investigative che il gruppo criminale, tra i tanti affari illeciti, ha messo le mani nel fiorente settore del riciclo delle materie plastiche impiegate in agricoltura, «inquinando il tessuto economico con posizioni di assoluto monopolio», spiega la Dia. Sono oggi in confisca e amministrate dal tribunale, tramite un amministratore giudiziario appositamente nominato, 3 aziende operanti nel commercio di materie plastiche e nella raccolta di rifiuti non pericolosi, 5 unità immobiliari e due autoveicoli. Il patrimonio sottoposto a confisca è valutato in circa 3 milioni di euro. Il tribunale di Catania - Sezione Misure di Prevenzione, ha valutato infatti positivamente gli elementi forniti dalla Dia e dalla procura della Repubblica, «ritenendo sussistente la pericolosità sociale e avallando la ricostruzione economica-finanziaria-reddituale eseguita dalla Dia di Catania, che è riuscita a comprovare e documentare una marcata sproporzione tra i redditi dichiarati dall’imprenditore e dal proprio nucleo familiare e il patrimonio accumulato negli anni».
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