RAGUSA. «Era in piedi, con il busto reclinato in avanti e la mani poggiate sul petto, ho pensato che avesse difficoltà a respirare per avere ingerito qualcosa che gli era andato di traverso». Così Veronica Panarello, nella sua penultima verità, ricostruisce alla Procura di Ragusa la scena del drammatico «incidente» che, secondo la sua versione, avrebbe causato la morte del figlio Loris, 8 anni, strangolato con una fascetta il 29 novembre del 2014 a Santa Croce Camerina. Ma per il medico legale il solco sul collo «è frutto di un serraggio importante e sostenuto», per almeno 40-120 secondi, che ha procurato danni gravi, quindi riconducibile a un adulto. Nella sua verità lei ha tentato di salvarlo, il piccolo, dal suo drammatico gioco con le fascette di plastica, ma davanti alla scelta se chiedere aiuto, con il bambino «violaceo in volto» e che «non respirava», ha evitato di chiamare i soccorsi, perchè, «non sapevo come giustificarmi».
Poi ha rimosso tutto, come se fosse stato «un brutto sogno», A luglio ha realizzato cosa era veramente successo, e di fronte alla visione della verità dei fatti, ha «patito un peso enorme di cui volevo assolutamente liberarmi». Il verbale, dell'interrogatorio del 13 novembre scorso, sarà al vaglio del Gup Andrea Reale, davanti al quale domani si terrà l'udienza per il rinvio a giudizio dell'imputata, sollecitato dal procuratore Carmelo Petralia e dal sostituto Marco Rota. Oggi è stata rinviata per un impedimento del suo legale, l'avvocato Francesco Villardita, impegnato a Roma in Cassazione. Si costituiranno parte civile il marito, Davide, che «aspetta di sapere tutta la verità», e il suocero Andrea Stival. Davide, sentito tre giorni, inserisce elementi nuovi. Il giorno del delitto lui chiama sua moglie alle 09.01 e lei, tra l'altro, gli dice: «Loris? Non l'ho visto entrare a scuola... eravamo in ritardo, ma non ti preoccupare c'era tanta gente». L'uomo ricorda anche che dopo il colloquio con le maestre del bambino, alle quale Verona Panarello consegna delle fascette che aveva a casa, lo invita più volte e perentoriamente a «andare a vedere se ci sono fascette in auto».
Alla contestazione del marito che «davanti casa ci sono ancora i giornalisti», lei insiste. Lui controlla l'auto e non trova fascette. Negli atti la conferma che Loris, come evidenziato dalle indagini di polizia di Stato, squadra mobile e carabinieri quel giorno «non è andato a scuola, ma è rimasto a casa». «Doveva entrare la seconda ora», rivela, aggiungendo che quando torna a casa lui «è seduto sul divano che guarda la Tv». Lei fa le pulizie, prepara il pranzo, rimprovera il figlio che ha dormito con delle fascette di plastica ai polsi. Poi il dramma. Arriva nella stanza di lui e lo trova in crisi respiratoria, in piedi, in mezzo alla stanza. Quando il bambino, «violaceo in viso», «si accascia in posizione supina», Veronica Panarello, dice, ha «potuto notare che il collo era cinto da una fascetta, le stesse che aveva ai polsi» e che si era messo per giocare «la sera prima». Tenta quindi disperatamente di togliere la fascetta, di strapparla «anche con le unghie», senza riuscirci. Per questo la taglia con «la forbice arancione». Lui «non respirava più».
«Ho poggiato la mia guancia sulla sua bocca - aggiunge la donna - per potere udire il suo respiro, ma non sentivo nulla». Il primo istinto, sostiene davanti ai Pm, è stato quello di chiamare aiuto con il cellulare, ma, «mi sono bloccata - spiega - e ho pensato che non avrei saputo come giustificare quanto accaduto». Quindi la decisione di portare via il corpicino di Loris caricandolo sulla sua auto. «Mi sono diretta verso Punta Secca - sostiene - non sapendo ancora dove andare, combattuta tra chiedere soccorso e il dubbio su come avrei potuto giustificare l'accaduto». Poi l'arrivo a Mulino Vecchio dove lascia il cadavere del figlio per tornare a casa, recuperare indumenti e zaino di Loris, buttati via mentre va al corso di cucina. È lì, a Donnafugata, che, osserva, «ho incominciato a rimuovere il ricordo di ciò che avevo fatto, rappresentandomi in realtà che avevo lasciato Loris a scuola». Per Veronica Panarello la morte di Lori era «stato un brutto sogno che avevo fatto». Che poi è diventato un vero incubo.
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