MINEO. Tre anni per Giuseppe Virzì, responsabile servizio di prevenzione, 3 anni e 8 mesi per l’ex assessore Giuseppe Mirata, 4 anni per Marcello Zampino, responsabile dell’ufficio Tecnico comunale, 4 anni per Antonino Catalano, addetto al servizio depurazione, 6 anni per Salvatore Carfì, titolare della ditta espurgo, e 5 anni e 6 mesi per il capo cantiere Salvatore La Cognata, entrambi ragusani.
Sono queste le richieste di condanna che ieri, a conclusione di una lunga e durissima requisitoria, il pg Sabrina Gambino ha avanzato ai giudici della Corte d’Appello, presieduta da Tiziana Carrubba, a latere Giuliana Fichera e Anna Maria Gloria Muscarella, per gli imputati della strage di Mineo. Nella tragedia, che risale al giugno 2008, a perdere la vita, mentre lavoravano all’impianto di depurazione, furono 4 dipendenti comunali e 2 lavoratori di una ditta di espurgo. In primo grado tra gli imputati figurava anche l’ex sindaco, Giuseppe Castania, che però il Tribunale ha assolto. L’assoluzione era stata pronunciata anche per Giuseppe Virzì ma la decisione è stata impugnata in Appello; per il pg «le motivazioni hanno denunciato una mancata comprensione delle responsabilità a lui ascrivibili sul mancato rispetto dell’obbligo di garantire la formazione ai dipendenti». La sentenza di primo grado aveva poi condannato a 2 anni e 8 mesi ciascuno Mirata, Zampino e Catalano, 4 anni e 2 mesi Carfì e 3 anni e 4 mesi La Cognata.
Per l’accusa la morte dei 6, fra cui i due ragusani Salvatore Tumino e Salvatore Smecca, sarebbe stata provocata dalle esalazioni tossiche che si sono liberate nel pozzetto dei fanghi mentre veniva effettuato l’intervento di pulizia. «Nell’affrontare le operazioni – ha detto il pg Gambino durante la requisitoria – non è stata rispettata nessuna misura di sicurezza, neanche quella più elementare». Ad essere stata assente, secondo la descrizione che è stata fatta ieri in aula, è stata la «gestione del rischio con l’assunzione di misure di prevenzione che potevano diminuire i rischi. Il documento presentato – ha proseguito il pg – non presentava la firma e i segni distintivi di adozione formale dell’atto. Mancavano soprattutto gli aspetti sostanziali mentre venivano ripetute considerazioni vuote e di carattere generale». Nell’impianto potevano liberarsi esalazioni tossiche ma «non c’erano neanche le mascherine», ha sottolineato la Gambino. A tutto ciò bisogna aggiungere «le condizioni di inefficienza in cui veniva tenuto il depuratore che in quello stato non poteva operare». Nella gestione dell’impianto, dunque, c’erano parecchie mancanze e «i comportamenti omissivi sono state le concause che hanno portato ai decessi».
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