VITTORIA. È ricercato anche all’estero dagli uomini della Squadra Mobile della polizia di Ragusa il vittoriese Giovanni Arangio Mazza, 60 anni, accusato di essere il mandante dell’omicidio del cognato.
L’ordine di cattura è scattato a seguito della decisione della Suprema Corte di Cassazione, depositata il 19 dicembre scorso, con cui è stata confermata la seconda sentenza emessa della Corte d’Assise di Appello nel 2012. Per lo stesso reato è stato ammanettato a Capodanno il padre Giovanbattista Arangio Mazza 85 anni, con l’accusa di essere uno dei mandanti dell’uccisione di Giovanni Incardona, 37 anni, che risale al 21 settembre del 1992. Il caso fu riaperto nel 2006, a seguito delle confessioni del collaborante Giuseppe Alesci. Il delitto sarebbe stato commissionato da Arangio Mazza e dal figlio Giovanni, per vendicare i continui maltrattamenti riservati dall’Incardona alla moglie (figlia e sorella dei presunti mandanti). Nell’ottobre 2010 la Suprema Corte di Cassazione, aveva annullato con rinvio ad altra sezione la sentenza emessa nel novembre del 2011 dai giudici etnei della Corte d’Assise d’Appello. Nel processo bis Giovanbattista Arangio Mazza è stato condannato a 18 anni (erano 21 nella prima sentenza) mentre 15 anni (erano 17) sono stati inflitti al figlio, al momento ricercato. La Corte d’Assise d’Appello ha condannato anche Luigi Favitta (16 anni) e Giuseppe Alesci (14 anni), ritenuti gli autori materiali della tragica fine di Incardona. Teatro dell’agguato la via Parma. Giuseppe Alesci, esecutore materiale dell’omicidio, ha riferito di avere acquistato un’auto dagli Arangio Mazza e siccome non riusciva a pagare le rate, i due gli offrono la possibilità di estinguere parte del debito per “gambizzare” il marito della loro congiunta; successivamente considerati i continui problemi, gli Arangio decisero di commissionare l’omicidio ed estinguere l’intero debito per l’auto che ammontava a 5 mila euro. Il 13 febbrario 2006 venne eseguita l’ordinanza di custodia cautelare in carcere degli Arangio Mazza. In attesa del ricorso per Cassazione, erano tornati liberi dopo avere scontato circa sei anni di detenzione.
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